23 aprile 2016

Death to All @ Cueva Rock Live. 22\04\2016


Non penso di essere stata l'unica a mostrare perplessità nei confronti di questo progetto. Anzi, ne ho letto di cotte e di crude, per cui ho affrontato il live di ieri sera con un po' di paura, che si è immancabilmente sciolta dopo le prime quattro note.
Parlare dei Death nel 2016 è molto complicato, anche perché Chuck Shuldiner non c'è più da molti anni e a prendere le redini del progetto sono stati i mostruosi Steve DiGiorgio e Gene Hoglan, ex membri della band. Sulla carta può sembrare una semplice paraculata trita soldi, una trovata di marketing. Ma siamo sicuri che sia così? Il concerto di ieri ha risposto ampiamente a questa domanda.
Non so neanche da dove cominciare. Andiamo per gradi.
La location è sempre una garanzia, la CuevaRock Live si conferma il locale di punta per il metal in Sardegna, e a parte l'ingresso un po' lento tutto fila liscio sino alla fine. Purtroppo ho perso praticamente tutti i set dei gruppi spalla, ovvero Worstenemy e Lunarsea, ma mi informano che entrambe le band hanno dato vita a una buona prestazione e non ho difficoltà a crederlo.
La cosa che più mi ha colpita è stata l'atmosfera, il pubblico era in uno stato di sospensione fiabesca, era tutto sfuggente e quasi irreale, si respirava aria di condivisione come non sentivo da tempo. Forse questo tratto non è comprensibile per chi non vive in un'isola, o comunque in un posto dove vi è sempre stata una grave carenza di concerti, ma qua da qualche anno stiamo iniziando a poter partecipare a live di qualità, cosa che fino anche a 10 anni fa era impensabile. Capite perciò che l'atmosfera aveva quel valore aggiunto del sogno ad occhi aperti.
Si, ma i Death to All? Cosa vi devo dire?
Live ineccepibile a parte qualche problema alla chitarra di Max Phelps (o almeno penso dal momento che la mia statura non mi ha permesso di verificare la veridicità di questo fatto) sul finale, ma niente di grave. Steve DiGiorgio è uno show man, Gene Hoglan ci ha fatto andare in pappa il cervello e Max Phelps ha svolto il suo lavoro in maniera eccellente. Vi dirò di più, la mia statura minuta mi ha permesso di godere alcuni tratti del live vedendo solo il mastodontico DiGiorgio così permettendo alla mente in estasi di percepire la presenza di Chuck. I Death to All sono un memorial mobile, tutto quello che fanno live, ogni riff, ogni parola è un tributo alla memoria dell'amico scomparso. Questa cosa è tangibile ed è stata una delle cose che più ha emozionato gli astanti.
La scaletta era perfetta, con la presenza di molti brani di Individual Thought Patterns, ma in due ore di live hanno ripescato da tutta la discografia. Le punte di diamante sono state Lack of Comprehension, l'immancabile Symbolic, Spirit Crusher, un'inaspettata cover degli Slayer che ha creato un improbabile pogo in uno spazio strettissimo e dulcis in fundo la chiusura con Pull the Plug.
Al momento sono ancora fuori fase per cui chiudo qua, ma so che chi c'era o chi ha presenziato a una qualsiasi delle loro date, sa esattamente quali sono le parole che non riesco a scrivere, quelle che mi sfuggono perché descriverebbero momenti che possono soltanto essere vissuti.

Un piccolo assaggio da un'altra data del tour:

8 aprile 2016

L'Apologia del Fenicottero. Deftones "Gore"

Sono sicura che non esista al mondo, nel 2016, un'altra band come i Deftones.
Loro sono tutto e il contrario di tutto: escono dall'underground Nu-Metal per non farne mai parte completamente, sfornano album per vent'anni l'uno diverso dall'altro ma sempre con lo stesso mood, sono una delle poche "band-azienda" ad avere ancora un'anima artistica. 
Ogni loro album in uscita è, nel bene o nel male, un evento. Il motivo è semplicemente che hanno una schiera di fan fedelissimi che li amano e una schiera di detrattori, altrettanto fedeli che li odiano. 
Come ogni altra volta non basta considerare solo la musica dei nostri, ma anche tutto ciò che c'è attorno, perché ogni album dei Deftones non è il frutto di un obbligo lavorativo, è anzi una continua sfida, un mettersi in discussione, una sorta di diario in musica. 
Facciamo il punto senza tornare troppo indietro, ma partendo da dieci anni fa.
Nel 2006 uscì Saturday Night Wrist, il loro album più controverso, probabilmente erano stanchi e appesantiti, ma riuscirono comunque a tirare fuori un album che delle belle canzoni (Hole in the Earth rimane tuttora una della mie preferite) e superiore alla media delle uscite di quel periodo. Dopo l'incidente di Chi Cheng uscì Diamond Eyes, quello che dal mio punto di vista è la migliore uscita del periodo post-White Pony. In seguito uscì Koi no Yokan, un album che sulla carta è quasi perfetto, ma che a distanza di anni mi lascia un retrogusto di perplessità. A dieci anni dal loro unico album controverso escono con Gore, il primo album dopo la morte di Chi, che secondo il mio modesto parere sarà il pomo della discordia tra i fan. 
Con le ultime due uscite sembrava che Chino and co. stessero segnando una strada precisa, che li avrebbe portati e esplorare nuovamente i lidi di White Pony, ma come da tradizione hanno sterzato all'ultimo, portando il proprio sound in un luogo diverso e fuori da ogni previsione.
Gore è un album carico di sentimento. Dopo decine di ascolti posso dichiarare, senza paura, di amarlo, come non ho mai amato Koi no Yokan ma meno di quanto ho amato Diamond Eyes. Siamo sempre lontani da Around the Fur (per me, il loro capolavoro) ma più vicini ad Adrenaline, Deftones e Saturday Night Wrist. Le componenti sono: ottime canzoni, sentimenti struggenti e un po' di caos generale.
Quando ad uscire fuori sono le emozioni e viene messa da parte la familiarità il risultato è la meraviglia.
Questo nuovo lavoro è un album molto complicato, più complicato dei precedenti, non immediato e per la prima volta nella loro carriera con un'omogeneità spiazzante.
Passiamo alle cose pratiche, ovvero le canzoni. Sto ancora tentando di riprendermi dalla bellezza struggente di Hearts\Wire e Rubicon. Una sola canzone continua a non convincermi per niente, ed è Doomed User, anche se nel refrain migliora nettamente rispetto ai versi. Un'altra canzone che mi ha spiazzata è la title-track, con un intro ritmico affascinante e un finale che fa realmente il culo a interi album di altre band osannate dalla critica ( niente nomi, sono buona ). Altra perla è Phantom Bride, con la collaborazione di Jerry Cantrell, canzone più classica ma altrettanto bella. Poi c'è Prayers\Triangles che è assolutamente un singolo perfetto e dall'impatto immediato, come al solito un singolo apripista che può essere fuorviante, questo è un loro modus operandi. Ho apprezzato tantissimo anche (L)MIRL, Acid Hologram e Geometric Headress. Insomma, lo trovo un album bello e convincente con delle frecce inusuali al proprio arco.
Uscire dagli schemi non sempre paga, ma uscire dagli schemi con delle idee vincenti può fare la differenza. Gore non piacerà a molti perché è uscito dal binario che sembrava tirare dritto dal 2010 in poi, ma noi forse non ameremmo così tanto la band di Sacramento se non riuscisse a sorprenderci ad ogni uscita. Il mio pensiero è conforme a quello di Chino Moreno: questo è uno dei loro album migliori, anche se non il migliore.
Buon ascolto e ricordate che un album con dei fenicotteri in copertina è vincente a prescindere.